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L'ACCORDO DI CESSIONE VIENE MENO ALLA SCADENZA DELLA PUBBLICA UTILITA’

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 29 del 30 gennaio 2009, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 3, comma 3, del decreto-legge 28 dicembre 2006, n. 300 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni diverse), convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2007, n. 17, con il quale si disponeva che «i verbali di concordamento dell'indennità di espropriazione e di rinuncia a qualunque pretesa connessa alla procedura di esproprio, relativi alla realizzazione degli interventi di cui al titolo VIII della legge 14 maggio 1981, n. 219, conservano la loro efficacia indipendentemente dall'emanazione del decreto di espropriazione».
La sentenza richiamata motiva la decisione sul presupposto che proprietari degli immobili soggetti al procedimento espropriativi sono indotti a concordate (o accettare l’indennità offerta) da una valutazione di convenienza riferita ad uno specifico momento della procedura, nella piena consapevolezza della disciplina vigente in tema di accordi, compresa l’eventualità di una loro inefficacia ove il procedimento non sia portato a termine nel termine fissato con la dichiarazione di pubblica utilità (art. 13 del DPR n. 327/2001)
La Consulta non esclude che gli accordi di cessione potrebbero anche protrarre i loro effetti oltre la infruttuosa scadenza dei termini per la conclusione della procedura espropriativa, ma tale ultrattività dovrebbe essere prevista dalla legge al momento dell'incontro di volontà tra le parti (cosa che attualmente non è prevista dalle viventi disposizioni sull’accettazione o sulla cessione volontaria), e non essere imposta con effetto retroattivo da una norma successiva.

Ultimo aggiornamento: 24/02/2009

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