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Per il C. di S. l'occupazione di un bene da parte dell'Amministrazione non è legittima al di fuori di una procedura espropriativa o di un procedimento sanante ex art. 42bis DPR 327/2001

Il Consiglio di Stato con sentenza sez. IV, n. 03988 del 26 agosto 2015, si è pronunciato sulla giurisdizione del G.A. sulla domanda riconvenzionale proposta dalla P.A. tendente a fare valere l’usucapione e sull’applicabilità o meno di quest’ultimo istituto alle occupazioni illegittime della P.A.In merito il C. di S., nella sentenza richiamata, afferma quanto segue:“ … La Sezione, peraltro, fermo quanto sopra ritenuto, intende cogliere l’occasione del presente giudizio per ribadire il proprio orientamento in tema di usucapione in favore dell’Amministrazione delle aree illegittimamente espropriate ed irreversibilmente trasformate dalla realizzazione dell’opera pubblica, che si risolve nei fatti nella neutralizzazione dell’azione restitutoria e/o risarcitoria del proprietario, impedendo anche, addirittura, trattandosi di acquisto a titolo originario, che quest’ultimo possa chiedere l’applicazione dell’art.42 bis del d.p.r. 327/2001, norma la cui costituzionalità è stata riconosciuta dal giudice delle leggi con la recentissima sentenza n.71/2015.

La Sezione non esita a ritenere che il riconoscimento dell’usucapione per effetto dell’occupazione illegittima scaturita da una procedura espropriativa non conclusasi ritualmente (con la cessione bonaria ovvero con il decreto di esproprio) rappresenta ciò che è stato definito un esercizio di “equilibrismo interpretativo” dal quale debbono essere prese le distanze.

Ritiene la Sezione a tal riguardo di ribadire (v. Sent. IV n.3346/2014) che è assai discutibile la usucapibilità di beni illecitamente occupati dall'Amministrazione.Lo impediscono invero plurime ragioni.

La prima delle quali fa capo all’orientamento secondo il quale “In tema di tutela possessoria, ricorre spoglio violento anche in ipotesi di privazione dell'altrui possesso mediante alterazione dello stato di fatto in cui si trovi il possessore, eseguita contro la volontà, sia pure soltanto presunta, di quest'ultimo, sussistendo la presunzione di volontà contraria del possessore ove manchi la prova di una manifestazione univoca di consenso, e senza che rilevi in senso contrario il semplice silenzio, in quanto circostanza di per sé equivoca, e non interpretabile come espressione di acquiescenza. alla luce dell'ampia nozione di violenza del possesso elaborata dalla giurisprudenza (ex multis Cass. civ., Sez. II, 7 dicembre 2012 n. 22174).

Cosi escludendosi che la detenzione possa essere mutata in possesso.La seconda pone in relazione l’asserita usucapibilità con la sua incompatibilità al cospetto dell’art. 1 del Protocollo Addizionale della CEDU e della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, la cui costante giurisprudenza (Sez. II, 30 maggio 2000, Belvedere Alberghiera S.r.l. c. Italia, n. 31524/96; Sez. III, 12 gennaio 2006, Sciarrotta c. Italia, n. 14793/02), ha più volte affermato, la non conformità alla Convenzione (in particolare, al citato Protocollo addizionale n. 1) che ha valore di “norma costituzionale interposta”, dell'istituto della cosiddetta "espropriazione indiretta o larvata" e quindi di alternative all’acquisizione in proprietà che non siano rappresentate dal decreto di espropriazione, ovvero dal contratto tra le parti.Non consente quindi la C.E.D.U. che l'apprensione materiale del bene da parte dell'Amministrazione possa considerarsi legittima al di fuori di una legittima procedura espropriativa o di un procedimento sanante (art. 42 bis D.P.R. n. 327 del 2001).

Né può essere omesso di aggiungere, infine, che l'interruzione dell'usucapione può avvenire oltre che con la perdita materiale del possesso soltanto con la proposizione di apposita domanda giudiziale, cosicché quantomeno sino all'entrata in vigore del D.P.R. n. 327 del 2001, qualificandosi antecedentemente l’occupazione acquisitiva come “fattispecie ablatoria”, era preclusa da parte del destinatario dell'occupazione preordinata all'esproprio, l'azione di restitutio in integrum, onde, trovando necessariamente applicazione l'art. 2935 Cod. civ., il dies a quo di un possibile possesso utile a fini di usucapione non potrebbe che individuarsi, come sostenuto anche da parte appellata, a partire dall'entrata in vigore del D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327. …”

Ultimo aggiornamento: 02/09/2015

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