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Nell’espropriazione di un’area destinata a stazione di rifornimento di carburanti, non si deve tenere conto della redditività dell’azienda sulla stessa insistente

Ultimo aggiornamento: 11/06/2010

 

Nel caso in cui, a seguito di espropriazione parziale per pubblica utilità, risulti impedito l’ulteriore svolgimento di un’impresa che utilizzava l’immobile espropriato per l’esercizio della propria attività, la determinazione dell’indennità di esproprio deve essere effettuata, secondo il criterio dettato dall’art. 40 della legge 25 giugno 1865, n.2359 (N.d.R.: ora art. 33 del T.U.E.), tenendo conto della differenza tra il valore dell’area espropriata, comprensivo di quello degli edifici che vi insistono, ed il valore dell’azienda (N.d.R.: da intendersi come valore patrimoniale), non potendo costituire oggetto di indennizzo il pregiudizio che il proprietario o il titolare di altro diritto subisce per non poter più esercitare l’impresa in quel luogo, in quanto l’indennità di espropriazione è commisurata al valore venale del bene, non a quello dell’azienda.
Pertanto le costruzioni esistenti sull’area vanno considerate nel loro valore in sé, non per il diverso valore che possono avere in rapporto alla particolare destinazione connessa all’attività di impresa e dunque alla circostanza di essere adibite a sede dell’azienda. ( In applicazione di tale principio la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, che, ai fini della determinazione dell’indennità dovuta per l’espropriazione di un’area destinata a stazione di rifornimento di carburanti per autoveicoli, aveva tenuto conto della redditività dell’azienda sulla stessa insistente)

 

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